Perché l’Europa vuole bloccare le attività agricole dei piccoli produttori locali

Perché l’Europa vuole bloccare le attività agricole dei piccoli produttori locali

Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un progressivo espandersi delle proteste degli agricoltori in vari paesi d’Europa: dalla Germania alla Francia, dalla Polonia alla Romania, mentre in Italia si preferisce non manifestare alcun dissenso contro le politiche agricole europee; ma cosa sta realmente accadendo? Per quali ragioni gli agricoltori hanno bloccato le strade intorno a Tolosa?  A Berlino, nel cuore della capitale tedesca? O altrove?Questa situazione in parte è causata dai vincoli imposti dalla transizione ecologica alla produzione agricola che finisce per mettersi in concorrenza con stati non soggetti alle stringenti normative europee. Riduzione dei pesticidi, eliminazione del vantaggio fiscale sul diesel non stradale, trattative difficili con i produttori. Le richieste dei contadini sono diverse, ma condividono lo stesso malessere. Quello di non poter più vivere del proprio lavoro, per questo si oppongono ai piani di austerità dei vari governi che hanno previsto forti tagli ai sussidi che erano stati concessi a questo settore primario dell’economia che contribuisce materialmente al sostentamento delle popolazioni.  E’ assurdo doverlo ricordare, ma: “Se muore il contadino muore il paese”. Chi nutrirà la Germania, la Francia o l’Italia quando chi lavora la terra e alleva gli animali da latte e da macello non troverà più conveniente occuparsi di queste attività, o sarà troppo stanco e demotivato per farlo?

Sciopero Generale in Germania. 8 gennaio 2024

Sciopero Generale in Germania. 8 gennaio 2024

Gli agricoltori francesi sono stati scossi dagli eventi meteorologici estremi, dall’aumento dei costi di produzione e dalle conseguenze commerciali della guerra in Ucraina. Migliaia di agricoltori rumeni hanno ripreso la mobilitazione contro il costo del carburante, il prezzo delle assicurazioni e le norme ambientali, riferisce la Reuters. All’inizio di gennaio gli agricoltori polacchi hanno bloccato l’importazione di cereali al confine con l’Ucraina.
Le motivazioni precise variano a seconda dei paesi, alcuni vedono in questa serie di manifestazioni l’espressione di una “esasperazione” globale degli agricoltori europei. Secondo le parole di Christiane Lambert, oggi presidente del Comitato delle organizzazioni professionali, all’AFP dell’Unione Europea: “C’è un surriscaldamento normativo, la Commissione europea vuole approvare i testi in vigore prima delle prossime elezioni europee”, denuncia l’ex capo della FNSEA, il principale sindacato agricolo francese. “Non tutti gli agricoltori europei hanno gli stessi problemi, ma hanno in comune il fatto che dipendono in gran parte dall’Unione Europea per i sussidi, il che, a sua volta, significa che devono rispettare gli standard e le condizioni dell’UE, osserva a franceinfo Kai Arzheimer, professore di scienze politiche all’Università di Magonza (Germania).
L’espressione più spettacolare di questa tendenza è sicuramente la svolta del Citizen Farmer Movement ​​alle elezioni locali olandesi del marzo 2023. Questo partito agrario populista ha poi ottenuto quasi il 32% dei voti, una percentuale senza precedenti. La rabbia degli agricoltori rientrava in un piano governativo volto a ridurre le aree sfruttabili e vietare l’uso dell’azoto nelle colture, in nome della tutela dell’ambiente. Con questa logica di voler tutelare l’ambiente, anche le mucche vengono viste come nemiche del clima poiché ogni mucca emette all’anno 100 chilogrammi di metano nell’atmosfera.
“Questo piano ha spinto parte della popolazione rurale a mobilitarsi, al di là degli agricoltori, perché avevano l’impressione che il loro stile di vita fosse minacciato”, osserva Kai Arzheimer. Una prospettiva che preoccupa i leader europei. Anche il progetto di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea allarma gli agricoltori, infatti l’integrazione dell’Ucraina rappresenterà un onere enorme per tutti. In agricoltura, vediamo molti svantaggi, soprattutto finanziari, data la larga quota dell’Ucraina nella PAC (Politica Agricola Comune). Un paese in guerra non dispone necessariamente di budget molto ampi, pertanto qualcuno dovrà aiutarlo.

A Natale, la Regione Emilia Romagna ha proposto ai suoi agricoltori di smettere di lavorare in cambio di cifre da 500 ai 1500 euro all’anno per ogni ettaro  lasciato incolto, sussidio che verrebbe pagato per circa 20 anni. La pianura padana emiliano romagnola è il principale parco agricolo italiano, insieme alla Puglie.
Forse il cibo dovrà produrlo solo il terzo mondo e le multinazionali? Quei soggetti che in fatto di tracciamento dei cibi presentano non poche incognite?  Si potrà fare domanda entro il 15 marzo e intanto la Regione impegna 211.600 euro ai quali seguiranno, immaginiamo, altre erogazioni per il raggiungimento dell’obiettivo.
I motivi di questa decisione li spiega la Regione stessa, ma è chiaro che dietro a queste ragioni si nascondano politiche europee che tendono a favorire i grandi proprietari terrieri e i marchi alimentari presenti nei mercati di tutto il mondo.
Il primo motivo espresso sarebbe: “Contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento a essi, anche riducendo le emissioni di gas a effetto serra e rafforzando il sequestro del carbonio, come pure promuovendo l’energia sostenibile”.
Il secondo: “Favorire lo sviluppo sostenibile e un’efficiente gestione delle risorse naturali come l’acqua, il suolo e l’aria, anche riducendo la dipendenza chimica”.
Il terzo obiettivo: “Contribuire ad arrestare e invertire la perdita di biodiversità, migliorare un approccio ecosostenibile e preservare gli habitat e i paesaggi”…

Da una parte si cerca di tutelare la salute dei contadini che non dovrebbero più utilizzare pesticidi, dall’altra quella dei consumatori che dovrebbero disporre di una maggiore quantità di verdure e frutta biologica, ma quali garanzie potrebbero dare gli alimenti prodotti in modo industriale da multinazionali che producono su terreni di paesi che spesso vengono utilizzati come discariche di sostanze inquinanti che non si riescono a smaltire altrimenti in Europa?
Quali sarebbero i reali vantaggi? E soprattutto a chi gioverebbe una politica che delocalizza l’agricoltura? Come potrebbero ridursi i prezzi delle merci provenienti da migliaia di chilometri di distanza? E a che cosa servirebbe tutelare la biodiversità locale se tali frutti della terra non è previsto che vengano consumati sul posto?
Potremmo dire che gli agricoltori oggi soffrono quello che hanno sofferto gli ambienti industriali europei con la liberalizzazione del mercato. Prima i governi proteggevano gli agricoltori per ragioni elettorali, ma questa è una popolazione che diventa sempre meno numerosa e come conseguenza in pochi adesso prendono le loro difese.

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L’Italia è diventato ormai un paese che compra i pomodori idroponici coltivati in Olanda per destinare i pomodori di qualità cresciuti sui suoi terreni ai ricchi mercati d’oltreoceano.
La grande distribuzione si sta sempre più appropriando dei mercati internazionali con l’intento di massimizzare i guadagni e ridurre i costi di produzione. Togliere le sovvenzioni al gasolio verde significa sicuramente ridurre i margini di guadagno per chi, già oggi non naviga nell’oro. Un ultimo dato che ci può far capire molto bene la gravità del problema: nel 1982 in Italia operavano 170’000 aziende agricole, mentre nel 2020 ne erano rimaste soltanto 53’000 circa. Intanto l’Europa approva le farine di grilli e gli insetti a scopi alimentari.


Fonti: Franceinfo; NZZ; Reuters; Affari italiani, Public Sénat

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