Il racconto del Graal

Il racconto del Graal

Il Sacro Graal è veramente esistito? O è soltanto una leggenda che poi grazie alle opere letterarie di Chrétien de Troyes, di Robert de Boron o di Wolfram von Eschenbach  si è diffusa in tutta Europa? Sembra che prima del 1182 nessuno abbia mai parlato di questa santa coppa di pietra di origine maligna (si dice sia stata scavata da una pietra caduta dalla corona di Lucifero). Prima di quella data, il Graal non esisteva né per la storia né per il mito. Molti studiosi ritenevano che esistessero leggende che parlavano di magici calderoni e di mirabolanti gesta compiute da re Artù e dai suoi cavalieri, oltre naturalmente all’Arca dell’Alleanza, una grossa cassa di legno d’acacia con un coperchio d’oro che serviva, secondo la Bibbia, a custodire le tavole delle leggi che Dio consegnò a Mosè sul Monte Sinai. Oggetto carico di poteri, in grado di dare l’invincibilità al popolo di Israele, Arca anch’essa andata perduta e mai ritrovata, se non in un popolarissimo film holliwoodiano del 1981 in cui Harrison Ford interpretò l’amatissimo professore di archeologia Indiana Jones.

Molti menestrelli attinsero da svariate leggende per colorire la storia del Sacro Graal e questo può aver indotto in confusione molti curiosi, ma queste storie tramandate nei secoli oralmente, dovevano essere troppo famose per essere prese da spunto da Chrétien de Troyes per dare inizio al suo ciclo di romanzi.
Il grande poeta francese non terminò mai il suo famoso: Conte du Graal; qualche anno dopo però, Wolfram von Eschenbach si ricollegò agli scritti del suo predecessore per svilupparne la storia, non evitando tuttavia di fregiarsi dell’unico marchio di autenticità per il suo testo. Fu infatti von Eschenbach, nel suo Parsifal, a rivelare che la coppa era fatta di pietra.
Von Eschenbach si fece influenzare anche dalla storia dell’Arca dell’Alleanza che sembra sia stata trasportata da Gerusalemme ad Axum, in Etiopia. Non si sa come, ciò che venne scritto tra il IV e il VI secolo d.C. nel Kebra Nagast possa essere arrivato fino agli occhi o alle orecchie dello scrittore tedesco, ma non è da escludere che l’opera che parla della gloria dei re etiopi sia stata trasportata fino in Europa da ebrei erranti.

Il racconto del Graal

Il racconto del Graal, un mito universale tra storia, culture e simboli – a cura di Giacomo Maria Prati e Alessandro Coscia

C’è chi sostiene che il Graal possa essere stato concepito proprio come una specie di criptogramma per ritrovare l’Arca dell’Alleanza. Un vaso è un contenitore, un ricettacolo di sapere e antiche conoscenze che vanno tramandate in forma esoterica o simbolica.

Una delle numerose tradizioni riferite al Graal è quella secondo cui le origini delle leggende sul Sacro Calice erano custodite nell’eresia gnostica dei Catari.
I Catari rappresentavano una minaccia per la Chiesa, che infatti perseguitò i Catari in un modo sanguinoso e brutale fino a trovare il suo tragico epilogo a Montségur, ultimo rifugio e baluardo di difesa degli esponenti di questa dottrina. I Catari, o perfetti, raccoglievano l’eredità degli antichi Gnostici che vivevano ad Alessandria d’Egitto.
A Nag Hammadi, nei pressi del Mar Morto, nel 1945, vennero trovati dei papiri che riportavano altri Vangeli apocrifi. Gli Gnostici ritenevano che il Dio biblico, creatore del Cielo e della Terra, fosse in realtà un dio minore, un falso dio, creatore soltanto della materia con la quale aveva oscurato il mondo reale, quello veramente divino.
Creando l’uomo, egli l’ha imprigionato nella materia, e l’ha costretto ad una vita di sofferenza che termina con la morte. L’uomo, creato a sua immagine e somiglianza, è talmente indaffarato a creare cose sempre nuove che non vede la scintilla divina che è in lui. Egli è però in grado di ritrovare la luce del divino se non in questa vita, in un’altra: gli Gnostici credevano nella reincarnazione. Per questo motivo, essi non riconoscevano alcuna autorità ecclesiastica, convinti della possibilità e della capacità dell’uomo di seguire esclusivamente la gnosi del proprio cuore, in un percorso così interiore e personale da non poter essere assolutamente delegato. Con il consiglio di Nicea, indetto dall’imperatore Costantino nel 324 d.C., la dottrina gnostica viene condannata come eretica e cominciarono le persecuzioni. Nel giro di un secolo, i seguaci di questa dottrina vennero letteralmente spazzati via. Alcuni si rifugiarono sulle montagne dell’Armenia, che li proteggerà per più di 500 anni; altri migrarono verso l’Europa: in Bulgaria, in Bosnia, ma soprattutto nel sud della Francia, in Linguadoca, dove trovarono nuovo terreno fertile. Siamo agli inizi del XI secolo: mentre il resto dell’Europa è ancora avvolto nelle tenebre del Medioevo, la Linguadoca è una regione fiorente e libera; vi si praticano le arti e si coltiva la letteratura. In questo clima libero e permissivo, si costituisce la comunità dei Catari, o Perfetti, che predicano il loro messaggio di amore spirituale. Rifiutano il benessere e il matrimonio e conducono una vita austera, che solo in pochi riescono a seguire, ma in un’epoca in cui all’uomo è assegnato uno scarsissimo valore essi predicano una via individuale per giungere a Dio. In queste regioni cominciano anche a diffondersi la poesia e la canzone; nascono i trovatori, che diffondono di corte in corte le loro storie di armi e di amori, e cominciano a diffondersi quelle tradizioni e quelle leggende che permeeranno tutta la letteratura del Graal. La Chiesa, preoccupata dell’eccessivo rifiorire dell’eresie che già avevano lungamente represso, non tardò a reagire. In quel periodo vennero istituiti alcuni ordini religiosi fondamentali per ripristinare la vera dottrina: nacquero i Francescani, istituiti nel 1209 per riconquistare il cuore dei poveri, ma fu soprattutto con l’ordine dei Domenicani, fondato da Domenico di Guzman nel 1215, che la Chiesa ideò il più terribile strumento di persecuzione delle eresie: la Santa Inquisizione. Contro i Catari venne scatenata una vera e propria crociata, che culminò, nel 1244, nella capitolazione, dopo un lungo assedio che era durato quasi un anno, della fortezza di Montségur, l’ultima roccaforte catara. Qui, secondo molti autori, s’innesta la leggenda del Graal: si tramanda che pochi giorni prima della capitolazione finale, alcuni esponenti della comunità catara riuscissero a fuggire dal castello ed a portare in salvo il loro tesoro più grande, che custodivano con grande ardore: proprio il Santo Graal.
I Catari avrebbero ricevuto il calice da Maria Maddalena che, sempre secondo la tradizione, l’avrebbe portato con sé da Gerusalemme. La Maddalena approdò, al termine del suo viaggio, proprio nel Sud della Francia, in un paesino della Provenza di nome Ratis, diventato poi noto come Les-Saintes-Maries-de-la-Mer. La storia dei Catari e dei loro presunti rapporti con il Graal fu dimenticata e nascosta per molti secoli, fino a che, agli inizi del XIX secolo, non tornò alla ribalta, soprattutto grazie all’opera di numerose società occulte e gruppi esoterici legati alla dottrina catara, che avevano maturato un grande interesse per il Graal, simbolo di una ricerca segreta ed incarnazione della propria missione. In questo ambiente si distinse un giovane studioso tedesco, Otto Rahn, rampollo di una nazione divisa tra sogni di gloria e di potenza e il rancore di una guerra perduta. raccogliendole testimonianze di esponenti di quelle stesse società segrete, Rahn scrisse un libro, destinato a sollevare un gran polverone: “Kreuzzug gegen der Graal” («Crociata contro il Graal», Saluzzo, 1979). Rahn, mentre si documentava per un saggio che doveva scrivere, lesse il “Parzival” e ne rimase affascinato. Wolfram Von Eschenbach era un cavaliere templare del XII secolo e nel “Parzival” i Templari erano dipinti come i “Custodi del Graal”. Le ricerche attorno a Montségur avevano portato Rahn a scoprire, una grotta che riporta graffiti Templari accanto a emblemi Catari, che secondo le sue teorie confermava l’ipotesi, già da tempo avanzata, delle relazioni che, almeno per un certo periodo di tempo, esistettero tra i due gruppi. Nel suo libro Rahn sostenne che la tradizione secondo cui il Graal sarebbe stato custodito dai Templari nel castello di Castello di Munsalvaesche, o Montsalvat, (nome che significa “Morte Salvato”) indicasse in realtà che esso si trovava proprio in mano ai Catari, che lo nascondevano nei sotterranei del loro castello di Montségur (che significa, letteralmente, “Monte Sicuro”). Le sue teorie affascinarono gli alti esponenti del partito nazista, molto interessati alle questioni esoteriche e, soprattutto, alle due più grandi reliquie della Cristianità: il Graal e la Lancia di Longino. Heinrich Himmler lo arruolò nelle SS. C’è chi dice che Rahn abbia veramente ritrovato il Graal, e che l’abbia portato in Germania dove fu custodito e venerato nel Castello di Wewelsburg, centro esoterico e sede del dell’Ordine Nero dei Cavalieri di Himmler. In realtà nel castello l’oggetto venerato era probabilmente un simbolico calice di cristallo. Nel 13 Marzo del 1939 il corpo di Rahn venne ritrovato in fondo ad una scarpata tra le montagne dell’Austria, a Kitzbühel. L’episodio non fu mai ben chiarito: le tesi ufficiali parlano di suicidio, ma si è ipotizzato che si trattasse di un’esecuzione, dovuta al fatto che Rahn si era rivelato un personaggio scomodo. Sua nonna, infatti, era di origine ebrea e non possedeva la necessaria “purezza di razza” richiesta agli appartenenti dell’esclusiva élite delle SS.

Notte Horror, in cooproduzione con Frammenti di Spettacolo e Cultura, hanno accolto a RAM Giacomo Maria Prati per parlare del Sacro Graal in letteratura tra mito, storia e leggenda. Eccovi il podcast di quella serata: Il racconto del Graal

Fonti: www.somt.it e Graham Hancock

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